sabato 18 marzo 2023

Il congresso "Conoscere e curare il cuore" è giunto alla sua 40° edizione




 Quarant’anni è il traguardo che la Fondazione “Centro Lotta contro l’infarto”, nel 2023, raggiunge con il congresso “Conoscere e Curare il cuore”. 

Il congresso è stato presentato il 17 marzo  in una conferenza stampa moderata  dal giornalista Dr. Onder 

Quarant’anni anni di ricerca scientifica e tecnologica; quarant’anni di corretta informazione scientifica diffusa a beneficio della comunità cardiologica e della pubblica opinione del nostro Paese, grazie ad un’intensa attività editoriale; quarant’anni di formazione delle nuove leve, attraverso borse di studio; ma soprattutto, quarant’anni di innalzamento dell ivello di innovazione e solidità del dato. 

Ed anche per l’edizione 2023, organizzata dalla Fondazione “Centro Lotta contro l’Infarto” dal 16 al 19 marzo 2023 a Fortezza da Basso – Firenze, temi di grande rilievo scientifico. 

I criteri di selezione degli argomenti rispondono ad una precisa strategia. Il Congresso intende puntare sui diversi tipi di argomenti: temi evidence based che stimolino i decisori a costruire opportune strategie di governo della salute pubblica generale; argomenti di carattere più generale e divulgativo e quindi adatti alla pubblica opinione, che possano essere aggiornati dagli ultimi risultati degli studi clinici; le grandi questioni scientifiche ancora non risolte dal dibattito interno alla cardiologia italiana.


La morte improvvisa, il primo tema della selezione, è l’esempio perfetto di questione importante, ancora aperta e che tanto scalpore suscita nella comunità, perché spesso colpisce giovani ed anche atleti.

“La prevenzione della morte improvvisa (SD)” - commenta Francesco Prati, Presidente della Fondazione Centro per la Lotta contro l’Infarto – “ha un ruolo centrale nei percorsi di prevenzione secondaria nei soggetti con cardiopatia ischemica. Le ragioni dell’arresto cardiaco in questa tipologia di pazienti rappresentano tutt’ora un argomento di dibattito.

E’ opinione diffusa che la causa delle aritmie spesso fatali, in questo contesto clinico, sia rappresentata da una instabilizzazione della placca aterosclerotica. Tuttavia studi recenti hanno messo in discussione questo aspetto fisiopatologico, ponendo l’accento su altre cause delle aritmie ventricolari, come causa dell’arresto cardiaco. Quest’ultime potrebbero essere individuate nel muscolo cardiaco e non solo nel letto coronarico.

Gli studi pongono l’accento sulla presenza della vulnerabilità di placca come elemento che può favorire la morte improvvisa. Lesioni coronariche responsabili degli eventi, con un meccanismo ulcerativo, spesso presentavano una capsula fibrosa sottile, una componente lipidica importante e delle cellule infiammatorie.

Non può sfuggire tuttavia un dato interessante; in circa il 50% dei casi non veniva riscontrata alcuna trombosi coronarica ed erano presenti unicamente delle placche aterosclerotiche stabili. Il meccanismo dell’aritmia fatale spesso non andava ricondotto all’ occlusione improvvisa di un ramo coronarico ma ad unmeccanismo alternativo. Più recentemente studi in vivo effettuati su soggetti sopravvissuti ad arresto cardiaco hanno ulteriormente chiarito degli aspetti fisiopatologici. Lo studio COACT ha randomizzato 552 pazienti per studiare i risultati clinici di una strategia più aggressiva che prevedeva una procedura coronarografica immediata vs una soluzione più attendista che richiedeva una coronarografia differita. In linea con questa osservazione, si evidenziava una stenosi giudicata instabile alla coronarografia solamente nel 15% dei casi, mentre la presenza di malattia coronarica significativa era frequente, osservandosi nel 66% dei casi. Pertanto la maggior parte dei soggetti presentava all’angiografia una malattia aterosclerotica stabile anche se di grado importante. Se gli studi pubblicati sull’argomento fanno comprendere che l’infarto miocardico causato dalla instabilizzazione di placche aterosclerotiche non è l’unico meccanismo fisiopatologico alla base della morte improvvisa nei soggetti con cardiopatia ischemica, rimane da chiedersi quali siano la altre cause. Il recente studio di Holmstrom et al. ha contribuito a chiarire questi aspetti. Lo studio è stato condotto in una popolazione che comprendeva ben 600 soggetti deceduti per morte improvvisa in presenza di malattia coronarica e prevedeva l’analisi istologica delle coronarie e del tessuto miocardico. Il 78% dei soggetti aveva un cuore con peso aumentato rispetto ai valori normali ed il 93% presentava segni di fibrosi. Come conferma degli studi precedenti l’instabilizzazione di placca era pertanto presente in meno della metà dei casi. Come ultimo dato, la rottura di placca o l’erosione, processi di instabilizzazione che comunemente evolvono nella trombosi acuta, si verificavano più spesso nei soggetti con morte improvvisa da attività fisica. Lo studio del muscolo cardiaco ha esplorato meccanismi alternativi all’instabilizzazione della placca come causa scatenante di aritmie fatali. In oltre il 93% dei casi era presente fibrosi miocardica. La fibrosi era di grado importante (substantial) nel 13% dei casi e di grado moderato (patchy) nel 68% dei casi. È anche interessante notare come nel 78% dei soggetti il cuore fosse ipertrofico, con un peso al di sopra della norma, e come solamente il 2.7% delle vittime non presentasse né fibrosi né ipertrofia ventricolare”.


Aria, suono e luce possono minacciare la salute del cuore.

Sulla base della crescente consapevolezza dell’impatto dei fattori di rischio ambientali sulla salute umana, il concetto di esposoma è stato introdotto per identificare un campo di ricerca emergente che studia gli effetti di tutte le esposizioni ambientali sulla salute umana, come l'inquinamento atmosferico, acustico e luminoso. L'inquinamento atmosferico è una miscela complessa di particolato e materiale gassoso rilasciato nell'ambiente dalle attività umane, il quale comprende l'inquinamento ambientale e domestico. L'inquinamento atmosferico è la quarta causa mondiale di morbidità e mortalità e, in particolare, più del 50% di questi decessi può essere attribuito a malattie cardiovascolari (CVD). Tra i diversi componenti dell'inquinamento atmosferico, il particolato con diametro aerodinamico di 2,5 μm (PM2.5) è quello con la più forte associazione con CVD. Infatti, molteplici evidenze collegano l'esposizione a PM2.5 con una maggiore suscettibilità allo sviluppo di aterosclerosi coronarica e la progressione di placche ad alto rischio di rottura. Il PM2.5 determina anche l’attivazione dell'endotelio vascolare responsabile dell'adesione e migrazione dei leucociti circolanti all’interno delle placche aterosclerotiche. Questo stato pro-infiammatorio vascolare determina una maggiore suscettibilità alla destabilizzazione delle placche aterosclerotiche e/o al verificarsi di eventi trombotici, portando quindi ad un maggior rischio di eventi cardiaci ischemici acuti. L'inquinamento acustico può entrare in sinergia con l'inquinamento atmosferico nel mediare un aumento del rischio di aterosclerosi e CVD. Il rumore del traffico può attivare una reazione di risposta a catena allo stress che coinvolge l'ipotalamo, il sistema limbico ed il sistema nervoso autonomo che porta all'attivazione dell'asse ipotalamo-ipofisi-surrene e dell'asse simpatico-midollare surrenalico, portando ad un aumento della frequenza cardiaca e dei livelli di

ormoni dello stress, una maggiore reattività piastrinica, infiammazione vascolare e stress ossidativo. Recenti studi hanno evidenziato un’associazione tra il rumore del traffico stradale e le CVD, calcolando un rischio relativo di CVD per un aumento di 10 dB partendo dal valore soglia di 53 dB di 1.08.

Uno studio pubblicato nel 2020 ha evidenziato il ruolo chiave dell’attivazione dell’amigdala nel mediare l’infiammazione vascolare e la patologia CV in risposta ad elevate esposizioni di inquinamento acustico. Una coorte di 498 adulti è stata studiata mediante PET-TC con 18-F-fluorodeossiglucosio per valutare l’attivazione dell’amigdala e l’infiammazione arteriosa (aortica). Una più elevata esposizione all’inquinamento acustico era associata ad alti livelli di attivazione dell’amigdala, a infiammazione aortica ed a rischio di eventi avversi cardiovascolari maggiori. Un recente studio ha riportato che l'esposizione combinata all'inquinamento atmosferico ed a quello acustico è significativamente associata ad un maggior rischio di eventi cardiovascolari (CV) rispetto all'esposizione ad uno o a nessuno di essi; effetto mediato soprattutto dall'infiammazione arteriosa. Gli effetti negativi del rumore del traffico sono molto più significativi durante la notte, probabilmente a causa di interruzioni del ciclo sonno-veglia, privazione del sonno e/o frammentazione e perturbazione dei periodi di tempo critici per il ripristino fisiologico e mentale. Infatti, un recente studio ha dimostrato che l'esposizione al rumore degli aerei durante la notte aumenta lo stress ossidativo vascolare e cerebrale attraverso l'attivazione di NOX e promuove disfunzione vascolare che porta ad un aumento del rischio di eventi CV. Infine, è ormai noto come l’inquinamento luminoso notturno, tramite l’alterazione della secrezione di melatonina, sia associato ad alterazioni del ritmo circadiano e del ciclo sonno-veglia; questi cambiamenti fisiopatologici sono associati ad un aumentato rischio di sviluppare neoplasie, disturbi psichiatrici, sindrome metabolica ed aumento della pressione arteriosa. Uno studio di coorte con 58629 pazienti, ha valutato l’associazione tra esposizione ad inquinamento luminoso notturno e rischio di incidenza di CVD e mortalità CV. Negli 11 anni di follow-up sono state registrate 3772 ospedalizzazioni per CVD e 1695 morti per cause CV dimostrando come l’esposizione all’inquinamento luminoso notturno sia associato ad un aumento del rischio di ospedalizzazione per CVD con un hazard ratio di 1.11. e di 1.10 per la mortalità CV. 


L’alimentazione, lo strumento principe per la prevenzione delle patologie: dieta povera di grassi o Dieta Mediterranea in prevenzione cardiovascolare?

La composizione della dieta ottimale per la prevenzione cardiovascolare si è evoluta negli ultimi decenni. Da tempo la comunità scientifica internazionale è concorde sul fatto che una dieta povera di grassi si effettivamente in grado di apportare dei benefici alla salute cardiovascolare e non solo. Per dieta a basso contenuto di grassi gli esperti intendono un regime alimentare dove le calorie medie assimilate giornalmente sono composte da non più del 30% di grassi. Alcuni consigliano di mantenersi intorno ad una media del 10-15% di grassi assunti in un’intera giornata, altri suggeriscono un apporto calorico quotidiano di grassi saturi non superiore al 7-10%. Per quanto riguarda gli studi randomizzati, il French Lyon Diet Heart è stato uno studio fondamentale nella valutazione dell’impatto della dieta sulla salute cardiovascolare. E’ uno studio di prevenzione secondaria volto a ridurre il rischio di morte cardiovascolare e recidiva di infarto miocardico mediante la modifica della dieta in 605 pazienti sopravvissuti ad un precedente infarto arruolati tra il 1988 e il 1992, e randomizzati ad una dieta di tipo mediterraneo (302 pazienti) o al gruppo controllo (303 pazienti). Lo studio ha mostrato una drastica riduzione degli eventi coronarici maggiori e dei decessi nel follow-up di 4 anni. In un'analisi ad interim a 27 mesi di follow-up, c'è stata una riduzione del 73% degli eventi coronarici e una riduzione del 70% della mortalità totale e lo studio è stato interrotto prematuramente. I risultati del Lyon Diet Heart Study sono stati dunque impressionanti, ma l'intervento non corrispondeva esattamente alla tradizionale Dieta Mediterranea. Più recentemente, lo studio spagnolo PREDIMED ha incluso 7447 partecipanti ad alto rischio cardiovascolare assegnati a 3 tipi di dieta: una Dieta Mediterranea integrata con olio extravergine di oliva, una Dieta Mediterranea integrata con noci miste o una dieta di controllo (con ridotto uso di tutti i sottotipi di grassi alimentari). Lo studio è stato interrotto prematuramente dopo 4,8 anni seguendo le regole di interruzione stabilite a priori nel protocollo.

L'incidenza di eventi cardiovascolari (infarto miocardico, ictus o morte cardiovascolare) nei gruppi Dieta Mediterranea è stata ridotta del 30% rispetto alla dieta di controllo. PREDIMED rimane a oggi il più grande studio di intervento dietetico per valutare gli effetti della Dieta Mediterranea sulla prevenzione delle malattie cardiovascolari. Nonostante studi epidemiologici e meccanicistici mostrino risultati simili, non esistono prove da studi clinici su larga scala e a lungo termine sull'efficacia della Dieta Mediterranea sulla prevenzione cardiovascolare secondaria, specialmente se confrontata con un altro gruppo attivo. Di fatto, ci sono poche evidenze sugli effetti di una Dieta Mediterranea nella prevenzione secondaria delle malattie cardiovascolari. Una revisione critica del 2019 che ha analizzato gli effetti della Dieta Mediterranea ha evidenziato la necessità di nuovi dati sulla prevenzione secondaria, perché gli unici due studi significativi esistenti erano troppo brevi oppure hanno presentato alcune importanti limitazioni. Quindi, sebbene diverse linee guida raccomandino la Dieta Mediterranea anche per la prevenzione secondaria negli ultimi 20 anni non sono stati condotti studi clinici a sostegno di questa raccomandazione.

L’alimentazione, lo strumento principe per la prevenzione delle patologie: meno sodio e più potassio per ridurre il rischio cardiovascolare. Un elevato consumo alimentare di sodio è considerato tra le principali cause di aumento dei valori di pressione arteriosa (PA) e costituisce uno tra i più importanti fattori di rischio legati alla dieta che favorisce la comparsa di eventi cardiovascolari (CV) in tutto il mondo. 

Sono molto numerosi i temi affrontati dal congresso. Per ulteriori informazioni si rimanda  al sito web

https://www.centrolottainfarto.com/


Fabrizio Del Bimbo 

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