giovedì 29 marzo 2018

Arbëreshë in Puglia, un prezioso patrimonio da salvaguardare

Il carattere eterogeneo della Capitanata si riscontra in molteplici aspetti come paesaggio, cultura,e gastronomia e  si rispecchia  nella diversità dei dialetti di ognuno dei 61 comuni che ne fanno parte. Certo, alcuni si somigliano molto, ma ognuno può vantare un’identità ben precisa che lo rende unico rispetto agli altri. Molte differenze esistono per esempio tra i dialetti dell’area garganica e quelli dei monti Dauni, a loro volta contaminati dalle influenze delle regioni confinanti, Molise e Campania,  senza dimenticare i centri del Tavoliere. Ma se per la lingua del “volgo” di Vieste, o quella di Cerignola, si può parlare di forme dialettali italiane, esistono alcuni comuni nella provincia di Foggia dove da secoli si custodiscono due lingue vere e proprie, un autentico patrimonio culturale tramandato nei secoli, l’Arbëreshe e il francoprovenzale.

Quella degli Arbëreshë è una comunità proveniente dall’Albania, e da diverse zone della Grecia dove vivevano gli Arvaniti, popolazione di religione cristiana-ortodossa. Si stanziarono in Italia a partire dal 1400, per sfuggire all’invasione dell’Albania da parte dei Turchi. Guidati da Giorgio Castriota Skanderbeg, lottarono al fianco degli Aragonesi di Ferdinando I nella guerra contro gli Angioini di Giovanni d’Angiò che aspirava al Regno di Napoli. Presto si stabilirono nell'attuale paese di Casalvecchio, che furono costretti ad abbandonare a causa della distruzione di tutti i casali, ordinata dal Vicerè di Napoli. Si spostarono nell’odierna Castelnuovo della Daunia fino al 1571 quando alla comunità Arbëreshë fu riconosciuta l’autonomia. Tre anni dopo fu riedificato il vecchio Casale  La comunità Arbëreshë si estese ben presto, stabilendosi anche a Chieuti, l’altro comune in provincia di Foggia, dove si parla la lingua Arbëreshë.   Ciò che differenzia l’Arbëreshë dall’albanese odierno è la purezza rimasta pressoché intatta da un punto di vista fonetico e morfosintattico rispetto a cinque secoli fa, quando ci fu l’esodo dall’Albania per sfuggire all’invasione dei Turchi, che hanno finito per influenzare pesantemente la lingua.
Con la Legge n. 482 del 15 Dicembre 1999, denominata “Norme in materia di tutela delle minoranze linguistiche storiche” e pubblicata il 20 dicembre 1999 nel numero 297 della Gazzetta Ufficiale, la Repubblica Italiana, che già valorizza il patrimonio linguistico e culturale della lingua italiana, si impegna anche nella valorizzazione delle cosiddette lingue e culture “minoritarie” presenti nel territorio italiano. Secondo l’articolo numero 6 della Costituzione che afferma “La Repubblica tutela con apposite norme le minoranze linguistiche” e richiamando i princípi generali stabiliti dagli organismi europei e internazionali, con la Legge 482 lo Stato Italiano afferma dunque di voler tutelare “la lingua e la cultura delle popolazioni albanesi, catalane, germaniche, greche, slovene e croate e di quelle parlanti il francese, il franco-provenzale, il friulano, il ladino, l’occitano e il sardo”. Oggi, dopo alcuni anni, occorre rinverdire questo patrimonio linguistico e culturale attraverso progetti regionali a finanziamento europeo. Le proposte più diffuse comprendono canti e progetti extracurricolari che intendono coinvolgere le giovani generazioni, in modo che la lingua arbereshe venga trasmessa dalle persone anziane e non vada perduta. Secondo Loris Catriona Skanderbeg, discendente del capostipite degli arbereshe in Puglia,  le iniziative da attuare  dovrebbero essere istituzionali, culturali e commerciali

I due centri arbereshe in Puglia, che meritano senza alcun dubbio una visita, sono. Casalvecchio di Puglia e Chieuti.




Il borgo di Casalvecchio è stato fondato da alcuni profughi greco-albanesi, che per sfuggire all'invasione dei Balcani da parte dei turchi si riversarono in massa nel territorio dauno; questi inizialmente si insediarono a circa tre chilometri da Casalvecchio, nel comune oggi noto come Castelnuovo della Daunia e qui vi fecero dimora tra il 1468 e il 1476 circa, ma la coabitazione non fu facile sin dall'inizio, considerata anche l'indole spesso tenace e ribelle del popolo albanese, infatti le differenze, i continui episodi di insofferenza, la difficile coesistenza di questi profughi con la comunità di Castelnuovo si protrasse sin oltre i primi decenni del Cinquecento, quando i greco-albanesi abbandonarono le loro prime abitazione per popolare il vicino casale che da esso dipendeva, come riportato dagli antichi documenti e denominato fino ad allora come Sanctus Petrus de Castelluccio, ma diventato poi Casalvecchio di Puglia. I suoi abitanti sono arbëreshë, e pur avendo perso il rito bizantino mantengono alquanto vivacemente la lingua arbëreshë e le tradizioni dei padri greco-albanesi.
La chiesa parrocchiale, intitolata ai santi Pietro e Paolo apostoli, è stata fondata nel XV secolo e consacrata nel 1713 dal cardinale Orsini divenuto  poi papa Benedetto XIII. All'interno è custodito un dipinto ad olio di Michelangelo Sammarco che raffigura la Madonna del Carmine, insieme ai santi titolari della parrocchia.




Molto radicata è la tradizione dei fuochi o falò di San Giuseppe che scacciano l’inverno dando il benvenuto all’imminente primavera, con l’entusiasmo di un intero borgo dove tutti i cittadini, anche i bambini, collaborano alla realizzazione della festa, raccogliendo la legna e allestendo i banchetti rituali . Folklore, memoria e divertimento proposti in questo  borgo di origine arbërëshe  fortemente legato alla data del 19 marzo dove al rito apotropaico della purificazione, di derivazione pagana, si affianca inevitabilmente quello cattolico, con la maestosa figura di San Giuseppe, protettore dei lavoratori, simbolo di famiglia, padre per antonomasia.
Quella di San Giuseppe è una ricorrenza all’insegna dell’accoglienza e della generosità che da sempre contraddistinguono la popolazione di Casalvecchio di Puglia.  Tra le peculiarità casalvecchiesi non mancherà il cëllitt, piatto povero della tradizione contadina a base di pomodoro e pancetta o un buon piatto di cicatelli ai profumi dauni o ancora la pizza col bicarbonato, i fagioli con cotenna, il grano cotto e altre prelibatezze.



Chieuti, il primo comune che si incontra entrando in Puglia,sorge nell'area dellìantica città di Citernia, distrutta dai Goti nel 495 d.C. e  fu fondata  a 300 metri di altezza nel XV secolo dagli immigrati albanesi ben accolti dai sovrani aragonesi del Regno di Napoli, grazie ai rapporti fraterni che li legavano al valoroso capo della lega dei kapedan albanesi, Giorgio Castriota Skanderbeg. Fu l'invasione della Grecia da parte dei Turchi Ottomani nel XV secolo che costrinse molti Arbëreshë ad emigrare nelle isole sotto il controllo di Venezia e in Italia meridionale.   Gli arbëreshë d’Italia, da allora, hanno conservato i costumi e la lingua arcaici e, in questo, hanno trovato un legame molto forte con il Kosovo, altra roccaforte dell’antica cultura albanese. Prima della conquista da parte dell'Impero ottomano tutti gli albanesi venivano chiamati Arbëreshë. Ma, a seguito dell'invasione turca, mentre gli albanesi che giunsero in Italia continuarono ad indicare se stessi col termine di Arbëreshë, quelli d'Albania assunsero il nome di Shqiptarëve. Dopo cinquecento anni, sebbene molte comunità di lingua Arbëreshë siano scomparse, altre invece sono riuscite a conservarne lingua e tradizioni, e in molti si battono quotidianamente per la tutela linguistica a livello locale, nazionale ed europeo.Con  la riforma degli ordinamenti didattici (2002), si sono affiancati all’insegnamento di lingua e letteratura albanese, i due insegnamenti distinti di letteratura albanese e di lingua e traduzione albanese.
Evento caratteristico di spicco a Chieuti è la Cavalcata dei buoi di razza podolica  lungo un percorso di 4 km e mezzo, che si svolge  il 22 o il 23 aprile di ogni anno  nell’ambito dei festeggiamenti in onore di S. Giorgio.
Durante la corsa un carro, carico di rami di lauro, viene trainato da quattro coppie di buoi. I preparativi per la corsa sono lunghissimi: durante l’anno si allenano i buoi, mentre il 21 sera gli animali vengono fatti entrare in paese simulando la gara. I buoi vengono poi portati nelle stalle dei Partiti (le contrade del carro), dove vengono attentamente sorvegliati per evitare che subiscano scherzi da parte degli avversari. Il mattino del 22 i buoi vengono invece lavati e addobbati e, dopo che il sindaco ha estratto l’ordine di partenza, carri e carrieri si dirigono verso la chiesa per ricevere la benedizione. A questo punto ci si dirige in aperta campagna, da dove ha inizio la gara: al segnale convenuto i carri  girano su se stessi ed i buoi iniziano a galoppare trascinando il carro addobbato verso il paese. La folla insegue i carri mentre uomini a cavallo pungolano i buoi con lunghi bastoni.La corsa ha fine nel viale principale, dove i carri procedono incolonnati.Lo scopo della corsa è quello di consegnare un cappellino colorato che i vincitori indosseranno il giorno seguente quando porteranno in processione il simulacro del Santo. Ai vincitori viene inoltre consegnato il Tarallo, una treccia di caciocavallo di circa 80 chili con le gesta di S. Giorgio che verrà portata in processione insieme al simulacro del Santo.
Chieuti Marina è molto frequentata in estate per le sue spiagge sabbiose.

Per alloggiare : Hotel  Apulia Palace Lucera
www.hotelpalacelucera.it

Fabrizio Del Bimbo
  

Nessun commento:

Posta un commento

La mostra autunnale “HOKUSAI”a Palazzo Blu a Pisa

  La mostra autunnale di Palazzo Blu è dedicata a Hokusai, al movimento artistico e culturale dell’ukiyoe, diffusosi in Giappone tra il 1600...