Un
grande appuntamento d’arte con uno dei massimi pittori italiani contemporanei,
in un luogo fra i più suggestivi del nostro paese.
Si inaugura
ufficialmente alle 18 di sabato 5 ottobre, alla sala mostra grande del Castello
Inferiore di Marostica – la cittadina vicentina, Bandiera Arancione del Touring
Club, nota in tutto il mondo per la Piazza degli Scacchi - una
personale del pittore padovano Antonio Sgarbossa dedicata in particolare al
tema della danza, e intitolata “La luce tra spazio reale e virtuale”. La mostra
resterà aperta fino al 20 ottobre.
Nato nel
1945 a Fontaniva e formatosi prima a Bassano del Grappa e poi in Svizzera,
Sgarbossa si afferma una volta rientrato in Italia, a partire dagli anni
Ottanta. Opere dell’artista veneto sono oggi esposte in numerosi musei di arte
contemporanea (Galleria Civica di Trieste, Museo Nazionale di Arte Ucraina di
Lviv, Galleria Civica “Sciortino” di Monreale…) e in gallerie private di varie
città d’Italia.
Scrive di
lui il critico Enzo Santese:
Nel tratto curricolare di Antonio Sgarbossa hanno rilievo e
incidenza due fatti, capaci di imprimere nella sua evoluzione artistica il
marchio di un punto d’avvio, solido e rassicurante: prima la confidenza con il
colore ad olio assunta fin dall’adolescenza, quando viene inviato dai genitori
a “impacontemporanei,
in un luogo fra i più suggestivi del nostro paese.
Si inaugura
ufficialmente alle 18 di sabato 5 ottobre, alla sala mostra grande del Castello
Inferiore di Marostica – la cittadina vicentina, Bandiera Arancione del Touring
Club, nota in tutto il mondo per la Piazza degli Scacchi - una
personale del pittore padovano Antonio Sgarbossa dedicata in particolare al
tema della danza, e intitolata “La luce tra spazio reale e virtuale”. La mostra
resterà aperta fino al 20 ottobre.
Nato nel
1945 a Fontaniva e formatosi prima a Bassano del Grappa e poi in Svizzera,
Sgarbossa si afferma una volta rientrato in Italia, a partire dagli anni
Ottanta. Opere dell’artista veneto sono oggi esposte in numerosi musei di arte
contemporanea (Galleria Civica di Trieste, Museo Nazionale di Arte Ucraina di
Lviv, Galleria Civica “Sciortino” di Monreale…) e in gallerie private di varie
città d’Italia.
Scrive di
lui il critico Enzo Santese:
Nel tratto curricolare di Antonio Sgarbossa hanno rilievo e
incidenza due fatti, capaci di imprimere nella sua evoluzione artistica il
marchio di un punto d’avvio, solido e rassicurante: prima la confidenza con il
colore ad olio assunta fin dall’adolescenza, quando viene inviato dai genitori
a “imparare un mestiere” in un laboratorio artigiano per la decorazione di
piatti in ceramica. Si può ben capire come le competenze acquisite in
quell’apprendistato contribuiscano a una formazione di base, utile a inquadrare
il nesso tra figura e spazio, segno e colore, intervento sulla superficie e
ricerca delle risposte più adatte a rendere il piano dipinto un corpo pulsante
di forme e cromie, conquistate in una lunga attività sperimentale. Il secondo
elemento che contribuisce in maniera sostanziale a riscaldare ulteriormente l’attenzione
del pittore per il fatto creativo è l’anno di permanenza a Neuchatel
(Svizzera), dove ha modo di conoscere una serie di artisti, che gli mostrano
una grande varietà di moduli operativi sulla superficie; la confidenza con il
nudo dal vero gli apre orizzonti e prospettive che in seguito convergono in
un’adozione del corpo, come elemento di “scrittura “ dello spazio fisico;
questo esprime fin dall’inizio la capacità di diventare, di volta in volta,
ambito di accadimenti poetici, intesi comi epifanie dello spirito che si
concretizzano in sequenze di racconti, lasciati poi alla sensibilità
definitoria di chi osserva.
La passione per la fotografia aggiunge poi l’ingrediente
che dà struttura di credibilità all’immagine e, nel contempo , cattura attimi
della cronaca colta nella casualità del quotidiano. Quel taglio compositivo
resta anche nell’architettura del dipinto, dove si rimarca la connessione tra
elemento luminoso e forme della realtà nella creazione di atmosfere, nelle
quali vibra intensa la virtualità di un luogo, che è il territorio percorso
dall’emozione prodotta dell’esistente, anche dai suoi riflessi più consueti.
Per questo la rassegna” La luce tra spazio fisico e virtuale” sintetizza nel
titolo un segmento concettuale che unisce due polarità antagonistiche, eppur
strettamente congiunte in una poetica, dominata proprio dalla luce. La ricerca
si fonda sulla possibilità di utilizzare una sorta di diario di registrazione
di fatti, episodi, persone ,circostanze climatiche, atmosfere umane, su cui poi
Sgarbossa elabora un proprio mosaico di sensazioni visive, incanalate in
precisi ambiti d’osservazione. Il sole è protagonista assoluto delle opere,
proprio per la cura dell’artista di scegliere i momenti della giornata, in cui
i raggi filtrano obliquamente, dando alle figure la possibilità di affermatesi
anche in virtù delle ombre lunghe che ne protendono i lineamenti sul piano.
Queste risultano sempre fattori attivi nell’economia del dipinto, dove il
chiaro e lo scuro sono derivazioni da un’unica matrice, la fonte che dà
sostanza volumetrica alle forme, facendole vivere in un contesto di fisicità,
dentro il quale si attiva ogni volta quel circuito sottilissimo di
comunicazione con la virtualità del quadro, per quel dialogo sommesso dei
soggetti umani con se stessi, con l’ambiente in cui sono inseriti, con la luce
che talora li esalta nelle rispettive fattezze, nei gesti, nelle pose, negli
abbandoni a una sospensione tra il peso della realtà e la leggerezza del
pensiero che essi medesimi stimolano. Lo sguardo meticoloso al dettaglio
raggiunge esiti virtuosistici nella resa di corrispondenza con l’esistere e ciò
è pienamente verificabile in numerosi interventi, che possono avere valore
esemplare: il tatuaggio che trapela dalla rete delle calze, l’evidenza dei
muscoli tesi nello sforzo di un passo di danza, l’espressione di volti
impegnati a interpretare un balletto classico, i panneggi di una tela bianca
che funge da metaforica alcova, la tessitura di un pavimento ligneo sulla cui
lucidità si specchiano le presenze ritratte. la vena di Sgarbossa incide in
quell’area magica che trasforma qualsiasi spazio, anche quello esterno, in un
perimetro privato, nei cui ritmi ed emergenze l’artista ritrova il modo per una
sintonia con i propri battiti personali. Da questo punto di vista, quando una
scena del reale viene trasposta sulla tavola, cessa di essere racconto e
diviene scatto emotivo, guizzo sensoriale, evocazione di uno slancio poetico
impegnato a neutralizzare la ponderalità del reale per assegnargli la levità tipica
di un afflato lirico, portato a dare dimensione spirituale alle cose, anche a
quelle ascritte alla categoria dello scontato: una sequenza di cFabrizio Del Bimbo iottoli,
inquadrati in una prospettiva geometrica come scansione dello spazio cittadino,
una porzione di mercato ripresa nel momento di maggior afflusso, una
dislocazione di lastre lapidee poste a pavimentare un ambito urbano, i
particolari di una tappezzeria apparentemente marginale nel contesto
compositivo, ma eletta a nucleo di relazione dialettica intensa con le altre componenti del dipinto. Nella
sua riflessione, l’artista indugia sul contrasto di alcune evidenze che va a
considerare con l’acutezza di uno spirito critico, spinto a volte al piacere di
un gioco di bilanciamento significante fra estremi. Ne sono esempi chiari la
proposta di una megalopoli orientale, sempre e comunque in fibrillazione
dinamica, e di squarci di provincia, dove le ore del silenzio collimano con la
necessità di assaporare il gusto del bozzolo protettivo della casa. I contorni
delle tematiche allargano le proprie linee progettuali andando a fissare
appunto il senso sintomico offerto dalla realtà di ogni giorno, da quello più
familiare a quello più remoto, inquadrando circostanze in dialettica relazione
tra loro: posa e movimento, emblemi della civiltà di ieri e di oggi. Certamente
l’artista cattura con la macchina fotografica istantanee che contengono il
germe per un’avventura della fantasia e gli scatti mai sono casuali, ma
inseriti in un contesto, dove i protagonisti recitano secondo un copione
direttamente ispirato dal pittore. Il suo racconto si snoda attraverso spazi,
in cui trova motivo per entrare in sintonia con frequenze molteplici: il
fascino di un tempo andato, non ancora costretto dallo strapotere della tecnologia,
che vive su meccaniche reali e virtuali, tutte differenti da oggi. La
locomotiva a vapore è il giocattolo di sempre, il simbolo della voglia di
andare, di consumare le lontananze tra poli distanti in viaggi fantastici; il
mezzo che aveva dato ai futuristi linfa intellettuale per le loro epiche della
velocità è lì ad alimentare i sogni di oggi, esibendo un’anima che sbuffa
e con il vapore dilata a dismisura gli effetti di luminosità del quadro; qui i
chiaroscuri sono tutti impostati per dare pregio al ruolo prevaricante della
luce, che accarezza oggetti e persone dando loro volume e fisionomia anche nel
movimento. mentre gli autoritratti o i ritratti (un genere congeniale alla
capacità di interpretare il carattere delle persone) contengono il pregio di un
equilibrio seducente fra la fedeltà al soggetto e la libertà di innestarvi, da
parte dell’autore, la propria intelligenza interpretativa. Uno degli ambiti di
indagine preferito da Antonio Sgarbossa è proprio il fattore dinamico, relativo
all’impostazione della sua pittura. La sua straordinarietà è data soprattutto
da un uso del colore che, al primo impatto, dà l’illusione di una tendenza al
monocromo, mentre in effetti è” una soluzione pulviscolare di tinte e di
nuances, impastate sovente con olio di lino e cera liquido, che avvolgono la
composizione in un abbraccio caldo e lieve.
rare un mestiere” in un laboratorio artigiano per la decorazione di
piatti in ceramica. Si può ben capire come le competenze acquisite in
quell’apprendistato contribuiscano a una formazione di base, utile a inquadrare
il nesso tra figura e spazio, segno e colore, intervento sulla superficie e
ricerca delle risposte più adatte a rendere il piano dipinto un corpo pulsante
di forme e cromie, conquistate in una lunga attività sperimentale. Il secondo
elemento che contribuisce in maniera sostanziale a riscaldare ulteriormente l’attenzione
del pittore per il fatto creativo è l’anno di permanenza a Neuchatel
(Svizzera), dove ha modo di conoscere una serie di artisti, che gli mostrano
una grande varietà di moduli operativi sulla superficie; la confidenza con il
nudo dal vero gli apre orizzonti e prospettive che in seguito convergono in
un’adozione del corpo, come elemento di “scrittura “ dello spazio fisico;
questo esprime fin dall’inizio la capacità di diventare, di volta in volta,
ambito di accadimenti poetici, intesi comi epifanie dello spirito che si
concretizzano in sequenze di racconti, lasciati poi alla sensibilità
definitoria di chi osserva.
La passione per la fotografia aggiunge poi l’ingrediente
che dà struttura di credibilità all’immagine e, nel contempo , cattura attimi
della cronaca colta nella casualità del quotidiano. Quel taglio compositivo
resta anche nell’architettura del dipinto, dove si rimarca la connessione tra
elemento luminoso e forme della realtà nella creazione di atmosfere, nelle
quali vibra intensa la virtualità di un luogo, che è il territorio percorso
dall’emozione prodotta dell’esistente, anche dai suoi riflessi più consueti.
Per questo la rassegna” La luce tra spazio fisico e virtuale” sintetizza nel
titolo un segmento concettuale che unisce due polarità antagonistiche, eppur
strettamente congiunte in una poetica, dominata proprio dalla luce. La ricerca
si fonda sulla possibilità di utilizzare una sorta di diario di registrazione
di fatti, episodi, persone ,circostanze climatiche, atmosfere umane, su cui poi
Sgarbossa elabora un proprio mosaico di sensazioni visive, incanalate in
precisi ambiti d’osservazione. Il sole è protagonista assoluto delle opere,
proprio per la cura dell’arFabrizio Del Bimbo tista di scegliere i momenti della giornata, in cui
i raggi filtrano obliquamente, dando alle figure la possibilità di affermatesi
anche in virtù delle ombre lunghe che ne protendono i lineamenti sul piano.
Queste risultano sempre fattori attivi nell’economia del dipinto, dove il
chiaro e lo scuro sono derivazioni da un’unica matrice, la fonte che dà
sostanza volumetrica alle forme, facendole vivere in un contesto di fisicità,
dentro il quale si attiva ogni volta quel circuito sottilissimo di
comunicazione con la virtualità del quadro, per quel dialogo sommesso dei
soggetti umani con se stessi, con l’ambiente in cui sono inseriti, con la luce
che talora li esalta nelle rispettive fattezze, nei gesti, nelle pose, negli
abbandoni a una sospensione tra il peso della realtà e la leggerezza del
pensiero che essi medesimi stimolano. Lo sguardo meticoloso al dettaglio
raggiunge esiti virtuosistici nella resa di corrispondenza con l’esistere e ciò
è pienamente verificabile in numerosi interventi, che possono avere valore
esemplare: il tatuaggio che trapela dalla rete delle calze, l’evidenza dei
muscoli tesi nello sforzo di un passo di danza, l’espressione di volti
impegnati a interpretare un balletto classico, i panneggi di una tela bianca
che funge da metaforica alcova, la tessitura di un pavimento ligneo sulla cui
lucidità si specchiano le presenze ritratte. la vena di Sgarbossa incide in
quell’area magica che trasforma qualsiasi spazio, anche quello esterno, in un
perimetro privato, nei cui ritmi ed emergenze l’artista ritrova il modo per una
sintonia con i propri battiti personali. Da questo punto di vista, quando una
scena del reale viene trasposta sulla tavola, cessa di essere racconto e
diviene scatto emotivo, guizzo sensoriale, evocazione di uno slancio poetico
impegnato a neutralizzare la ponderalità del reale per assegnargli la levità tipica
di un afflato lirico, portato a dare dimensione spirituale alle cose, anche a
quelle ascritte alla categoria dello scontato: una sequenza di ciottoli,
inquadrati in una prospettiva geometrica come scansione dello spazio cittadino,
una porzione di mercato ripresa nel momento di maggior afflusso, una
dislocazione di lastre lapidee poste a pavimentare un ambito urbano, i
particolari di una tappezzeria apparentemente marginale nel contesto
compositivo, ma eletta a nucleo di relazione dialettica intensa con le altre componenti del dipinto. Nella
sua riflessione, l’artista indugia sul contrasto di alcune evidenze che va a
considerare con l’acutezza di uno spirito critico, spinto a volte al piacere di
un gioco di bilanciamento significante fra estremi. Ne sono esempi chiari la
proposta di una megalopoli orientale, sempre e comunque in fibrillazione
dinamica, e di squarci di provincia, dove le ore del silenzio collimano con la
necessità di assaporare il gusto del bozzolo protettivo della casa. I contorni
delle tematiche allargano le proprie linee progettuali andando a fissare
appunto il senso sintomico offerto dalla realtà di ogni giorno, da quello più
familiare a quello più remoto, inquadrando circostanze in dialettica relazione
tra loro: posa e movimento, emblemi della civiltà di ieri e di oggi. Certamente
l’artista cattura con la macchina fotografica istantanee che contengono il
germe per un’avventura della fantasia e gli scatti mai sono casuali, ma
inseriti in un contesto, dove i protagonisti recitano secondo un copione
direttamente ispirato dal pittore. Il suo racconto si snoda attraverso spazi,
in cui trova motivo per entrare in sintonia con frequenze molteplici: il
fascino di un tempo andato, non ancora costretto dallo strapotere della tecnologia,
che vive su meccaniche reali e virtuali, tutte differenti da oggi. La
locomotiva a vapore è il giocattolo di sempre, il simbolo della voglia di
andare, di consumare le lontananze tra poli distanti in viaggi fantastici; il
mezzo che aveva dato ai futuristi linfa intellettuale per le loro epiche della
velocità è lì ad alimentare i sogni di oggi, esibendo un’anima che sbuffa
e con il vapore dilata a dismisura gli effetti di luminosità del quadro; qui i
chiaroscuri sono tutti impostati per dare pregio al ruolo prevaricante della
luce, che accarezza oggetti e persone dando loro volume e fisionomia anche nel
movimento. mentre gli autoritratti o i ritratti (un genere congeniale alla
capacità di interpretare il carattere delle persone) contengono il pregio di un
equilibrio seducente fra la fedeltà al soggetto e la libertà di innestarvi, da
parte dell’autore, la propria intelligenza interpretativa. Uno degli ambiti di
indagine preferito da Antonio Sgarbossa è proprio il fattore dinamico, relativo
all’impostazione della sua pittura. La sua straordinarietà è data soprattutto
da un uso del colore che, al primo impatto, dà l’illusione di una tendenza al
monocromo, mentre in effetti è” una soluzione pulviscolare di tinte e di
nuances, impastate sovente con olio di lino e cera liquido, che avvolgono la
composizione in un abbraccio caldo e lieve.
Fabrizio Del Bimbo
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