lunedì 16 settembre 2019

Al Castello di Marostica dal 5 al 20 ottobre la personale di Antonio Sgarbossa



Un grande appuntamento d’arte con uno dei massimi pittori italiani contemporanei, in un luogo fra i più suggestivi del nostro paese.

Si inaugura ufficialmente alle 18 di sabato 5 ottobre, alla sala mostra grande del Castello Inferiore di Marostica – la cittadina vicentina, Bandiera Arancione del Touring Club, nota in tutto il mondo per la Piazza degli Scacchi - una personale del pittore padovano Antonio Sgarbossa dedicata in particolare al tema della danza, e intitolata “La luce tra spazio reale e virtuale”. La mostra resterà aperta fino al 20 ottobre.
Nato nel 1945 a Fontaniva e formatosi prima a Bassano del Grappa e poi in Svizzera, Sgarbossa si afferma una volta rientrato in Italia, a partire dagli anni Ottanta. Opere dell’artista veneto sono oggi esposte in numerosi musei di arte contemporanea (Galleria Civica di Trieste, Museo Nazionale di Arte Ucraina di Lviv, Galleria Civica “Sciortino” di Monreale…) e in gallerie private di varie città d’Italia.

Scrive di lui il critico Enzo Santese:
Nel tratto curricolare di Antonio Sgarbossa hanno rilievo e incidenza due fatti, capaci di imprimere nella sua evoluzione artistica il marchio di un punto d’avvio, solido e rassicurante: prima la confidenza con il colore ad olio assunta fin dall’adolescenza, quando viene inviato dai genitori a “impacontemporanei, in un luogo fra i più suggestivi del nostro paese.
Si inaugura ufficialmente alle 18 di sabato 5 ottobre, alla sala mostra grande del Castello Inferiore di Marostica – la cittadina vicentina, Bandiera Arancione del Touring Club, nota in tutto il mondo per la Piazza degli Scacchi - una personale del pittore padovano Antonio Sgarbossa dedicata in particolare al tema della danza, e intitolata “La luce tra spazio reale e virtuale”. La mostra resterà aperta fino al 20 ottobre.
Nato nel 1945 a Fontaniva e formatosi prima a Bassano del Grappa e poi in Svizzera, Sgarbossa si afferma una volta rientrato in Italia, a partire dagli anni Ottanta. Opere dell’artista veneto sono oggi esposte in numerosi musei di arte contemporanea (Galleria Civica di Trieste, Museo Nazionale di Arte Ucraina di Lviv, Galleria Civica “Sciortino” di Monreale…) e in gallerie private di varie città d’Italia.



Scrive di lui il critico Enzo Santese:
Nel tratto curricolare di Antonio Sgarbossa hanno rilievo e incidenza due fatti, capaci di imprimere nella sua evoluzione artistica il marchio di un punto d’avvio, solido e rassicurante: prima la confidenza con il colore ad olio assunta fin dall’adolescenza, quando viene inviato dai genitori a “imparare un mestiere” in un laboratorio artigiano per la decorazione di piatti in ceramica. Si può ben capire come le competenze acquisite in quell’apprendistato contribuiscano a una formazione di base, utile a inquadrare il nesso tra figura e spazio, segno e colore, intervento sulla superficie e ricerca delle risposte più adatte a rendere il piano dipinto un corpo pulsante di forme e cromie, conquistate in una lunga attività sperimentale. Il secondo elemento che contribuisce in maniera sostanziale a riscaldare ulteriormente l’attenzione del pittore per il fatto creativo è l’anno di permanenza a Neuchatel (Svizzera), dove ha modo di conoscere una serie di artisti, che gli mostrano una grande varietà di moduli operativi sulla superficie; la confidenza con il nudo dal vero gli apre orizzonti e prospettive che in seguito convergono in un’adozione del corpo, come elemento di “scrittura “ dello spazio fisico; questo esprime fin dall’inizio la capacità di diventare, di volta in volta, ambito di accadimenti poetici, intesi comi epifanie dello spirito che si concretizzano in sequenze di racconti, lasciati poi alla sensibilità definitoria di chi osserva.
La passione per la fotografia aggiunge poi l’ingrediente che dà struttura di credibilità all’immagine e, nel contempo , cattura attimi della cronaca colta nella casualità del quotidiano. Quel taglio compositivo resta anche nell’architettura del dipinto, dove si rimarca la connessione tra elemento luminoso e forme della realtà nella creazione di atmosfere, nelle quali vibra intensa la virtualità di un luogo, che è il territorio percorso dall’emozione prodotta dell’esistente, anche dai suoi riflessi più consueti. Per questo la rassegna” La luce tra spazio fisico e virtuale” sintetizza nel titolo un segmento concettuale che unisce due polarità antagonistiche, eppur strettamente congiunte in una poetica, dominata proprio dalla luce. La ricerca si fonda sulla possibilità di utilizzare una sorta di diario di registrazione di fatti, episodi, persone ,circostanze climatiche, atmosfere umane, su cui poi Sgarbossa elabora un proprio mosaico di sensazioni visive, incanalate in precisi ambiti d’osservazione. Il sole è protagonista assoluto delle opere, proprio per la cura dell’artista di scegliere i momenti della giornata, in cui i raggi filtrano obliquamente, dando alle figure la possibilità di affermatesi anche in virtù delle ombre lunghe che ne protendono i lineamenti sul piano. Queste risultano sempre fattori attivi nell’economia del dipinto, dove il chiaro e lo scuro sono derivazioni da un’unica matrice, la fonte che dà sostanza volumetrica alle forme, facendole vivere in un contesto di fisicità, dentro il quale si attiva ogni volta quel circuito sottilissimo di comunicazione con la virtualità del quadro, per quel dialogo sommesso dei soggetti umani con se stessi, con l’ambiente in cui sono inseriti, con la luce che talora li esalta nelle rispettive fattezze, nei gesti, nelle pose, negli abbandoni a una sospensione tra il peso della realtà e la leggerezza del pensiero che essi medesimi stimolano. Lo sguardo meticoloso al dettaglio raggiunge esiti virtuosistici nella resa di corrispondenza con l’esistere e ciò è pienamente verificabile in numerosi interventi, che possono avere valore esemplare: il tatuaggio che trapela dalla rete delle calze, l’evidenza dei muscoli tesi nello sforzo di un passo di danza, l’espressione di volti impegnati a interpretare un balletto classico, i panneggi di una tela bianca che funge da metaforica alcova, la tessitura di un pavimento ligneo sulla cui lucidità si specchiano le presenze ritratte. la vena di Sgarbossa incide in quell’area magica che trasforma qualsiasi spazio, anche quello esterno, in un perimetro privato, nei cui ritmi ed emergenze l’artista ritrova il modo per una sintonia con i propri battiti personali. Da questo punto di vista, quando una scena del reale viene trasposta sulla tavola, cessa di essere racconto e diviene scatto emotivo, guizzo sensoriale, evocazione di uno slancio poetico impegnato a neutralizzare la ponderalità del reale per assegnargli la levità tipica di un afflato lirico, portato a dare dimensione spirituale alle cose, anche a quelle ascritte alla categoria dello scontato: una sequenza di cFabrizio Del Bimbo iottoli, inquadrati in una prospettiva geometrica come scansione dello spazio cittadino, una porzione di mercato ripresa nel momento di maggior afflusso, una dislocazione di lastre lapidee poste a pavimentare un ambito urbano, i particolari di una tappezzeria apparentemente marginale nel contesto compositivo, ma eletta a nucleo di relazione dialettica intensa  con le altre componenti del dipinto. Nella sua riflessione, l’artista indugia sul contrasto di alcune evidenze che va a considerare con l’acutezza di uno spirito critico, spinto a volte al piacere di un gioco di bilanciamento significante fra estremi. Ne sono esempi chiari la proposta di una megalopoli orientale, sempre e comunque in fibrillazione dinamica, e di squarci di provincia, dove le ore del silenzio collimano con la necessità di assaporare il gusto del bozzolo protettivo della casa. I contorni delle tematiche allargano le proprie linee progettuali andando a fissare appunto il senso sintomico offerto dalla realtà di ogni giorno, da quello più familiare a quello più remoto, inquadrando circostanze in dialettica relazione tra loro: posa e movimento, emblemi della civiltà di ieri e di oggi. Certamente l’artista cattura con la macchina fotografica istantanee che contengono il germe per un’avventura della fantasia e gli scatti mai sono casuali, ma inseriti in un contesto, dove i protagonisti recitano secondo un copione direttamente ispirato dal pittore. Il suo racconto si snoda attraverso spazi, in cui trova motivo per entrare in sintonia con frequenze molteplici: il fascino di un tempo andato, non ancora costretto dallo strapotere della tecnologia, che vive su meccaniche reali e virtuali, tutte differenti da oggi. La locomotiva a vapore è il giocattolo di sempre, il simbolo della voglia di andare, di consumare le lontananze tra poli distanti in viaggi fantastici; il mezzo che aveva dato ai futuristi linfa intellettuale per le loro epiche della velocità  è lì ad alimentare  i sogni di oggi, esibendo un’anima che sbuffa e con il vapore dilata a dismisura gli effetti di luminosità del quadro; qui i chiaroscuri sono tutti impostati per dare pregio al ruolo prevaricante della luce, che accarezza oggetti e persone dando loro volume e fisionomia anche nel movimento. mentre gli autoritratti o i ritratti (un genere congeniale alla capacità di interpretare il carattere delle persone) contengono il pregio di un equilibrio seducente fra la fedeltà al soggetto e la libertà di innestarvi, da parte dell’autore, la propria intelligenza interpretativa. Uno degli ambiti di indagine preferito da Antonio Sgarbossa è proprio il fattore dinamico, relativo all’impostazione della sua pittura. La sua straordinarietà è data soprattutto da un uso del colore che, al primo impatto, dà l’illusione di una tendenza al monocromo, mentre in effetti è” una soluzione pulviscolare di tinte e di nuances, impastate sovente con olio di lino e cera liquido, che avvolgono la composizione in un abbraccio caldo e lieve.
rare un mestiere” in un laboratorio artigiano per la decorazione di piatti in ceramica. Si può ben capire come le competenze acquisite in quell’apprendistato contribuiscano a una formazione di base, utile a inquadrare il nesso tra figura e spazio, segno e colore, intervento sulla superficie e ricerca delle risposte più adatte a rendere il piano dipinto un corpo pulsante di forme e cromie, conquistate in una lunga attività sperimentale. Il secondo elemento che contribuisce in maniera sostanziale a riscaldare ulteriormente l’attenzione del pittore per il fatto creativo è l’anno di permanenza a Neuchatel (Svizzera), dove ha modo di conoscere una serie di artisti, che gli mostrano una grande varietà di moduli operativi sulla superficie; la confidenza con il nudo dal vero gli apre orizzonti e prospettive che in seguito convergono in un’adozione del corpo, come elemento di “scrittura “ dello spazio fisico; questo esprime fin dall’inizio la capacità di diventare, di volta in volta, ambito di accadimenti poetici, intesi comi epifanie dello spirito che si concretizzano in sequenze di racconti, lasciati poi alla sensibilità definitoria di chi osserva.
La passione per la fotografia aggiunge poi l’ingrediente che dà struttura di credibilità all’immagine e, nel contempo , cattura attimi della cronaca colta nella casualità del quotidiano. Quel taglio compositivo resta anche nell’architettura del dipinto, dove si rimarca la connessione tra elemento luminoso e forme della realtà nella creazione di atmosfere, nelle quali vibra intensa la virtualità di un luogo, che è il territorio percorso dall’emozione prodotta dell’esistente, anche dai suoi riflessi più consueti. Per questo la rassegna” La luce tra spazio fisico e virtuale” sintetizza nel titolo un segmento concettuale che unisce due polarità antagonistiche, eppur strettamente congiunte in una poetica, dominata proprio dalla luce. La ricerca si fonda sulla possibilità di utilizzare una sorta di diario di registrazione di fatti, episodi, persone ,circostanze climatiche, atmosfere umane, su cui poi Sgarbossa elabora un proprio mosaico di sensazioni visive, incanalate in precisi ambiti d’osservazione. Il sole è protagonista assoluto delle opere, proprio per la cura dell’arFabrizio Del Bimbo tista di scegliere i momenti della giornata, in cui i raggi filtrano obliquamente, dando alle figure la possibilità di affermatesi anche in virtù delle ombre lunghe che ne protendono i lineamenti sul piano. Queste risultano sempre fattori attivi nell’economia del dipinto, dove il chiaro e lo scuro sono derivazioni da un’unica matrice, la fonte che dà sostanza volumetrica alle forme, facendole vivere in un contesto di fisicità, dentro il quale si attiva ogni volta quel circuito sottilissimo di comunicazione con la virtualità del quadro, per quel dialogo sommesso dei soggetti umani con se stessi, con l’ambiente in cui sono inseriti, con la luce che talora li esalta nelle rispettive fattezze, nei gesti, nelle pose, negli abbandoni a una sospensione tra il peso della realtà e la leggerezza del pensiero che essi medesimi stimolano. Lo sguardo meticoloso al dettaglio raggiunge esiti virtuosistici nella resa di corrispondenza con l’esistere e ciò è pienamente verificabile in numerosi interventi, che possono avere valore esemplare: il tatuaggio che trapela dalla rete delle calze, l’evidenza dei muscoli tesi nello sforzo di un passo di danza, l’espressione di volti impegnati a interpretare un balletto classico, i panneggi di una tela bianca che funge da metaforica alcova, la tessitura di un pavimento ligneo sulla cui lucidità si specchiano le presenze ritratte. la vena di Sgarbossa incide in quell’area magica che trasforma qualsiasi spazio, anche quello esterno, in un perimetro privato, nei cui ritmi ed emergenze l’artista ritrova il modo per una sintonia con i propri battiti personali. Da questo punto di vista, quando una scena del reale viene trasposta sulla tavola, cessa di essere racconto e diviene scatto emotivo, guizzo sensoriale, evocazione di uno slancio poetico impegnato a neutralizzare la ponderalità del reale per assegnargli la levità tipica di un afflato lirico, portato a dare dimensione spirituale alle cose, anche a quelle ascritte alla categoria dello scontato: una sequenza di ciottoli, inquadrati in una prospettiva geometrica come scansione dello spazio cittadino, una porzione di mercato ripresa nel momento di maggior afflusso, una dislocazione di lastre lapidee poste a pavimentare un ambito urbano, i particolari di una tappezzeria apparentemente marginale nel contesto compositivo, ma eletta a nucleo di relazione dialettica intensa  con le altre componenti del dipinto. Nella sua riflessione, l’artista indugia sul contrasto di alcune evidenze che va a considerare con l’acutezza di uno spirito critico, spinto a volte al piacere di un gioco di bilanciamento significante fra estremi. Ne sono esempi chiari la proposta di una megalopoli orientale, sempre e comunque in fibrillazione dinamica, e di squarci di provincia, dove le ore del silenzio collimano con la necessità di assaporare il gusto del bozzolo protettivo della casa. I contorni delle tematiche allargano le proprie linee progettuali andando a fissare appunto il senso sintomico offerto dalla realtà di ogni giorno, da quello più familiare a quello più remoto, inquadrando circostanze in dialettica relazione tra loro: posa e movimento, emblemi della civiltà di ieri e di oggi. Certamente l’artista cattura con la macchina fotografica istantanee che contengono il germe per un’avventura della fantasia e gli scatti mai sono casuali, ma inseriti in un contesto, dove i protagonisti recitano secondo un copione direttamente ispirato dal pittore. Il suo racconto si snoda attraverso spazi, in cui trova motivo per entrare in sintonia con frequenze molteplici: il fascino di un tempo andato, non ancora costretto dallo strapotere della tecnologia, che vive su meccaniche reali e virtuali, tutte differenti da oggi. La locomotiva a vapore è il giocattolo di sempre, il simbolo della voglia di andare, di consumare le lontananze tra poli distanti in viaggi fantastici; il mezzo che aveva dato ai futuristi linfa intellettuale per le loro epiche della velocità  è lì ad alimentare  i sogni di oggi, esibendo un’anima che sbuffa e con il vapore dilata a dismisura gli effetti di luminosità del quadro; qui i chiaroscuri sono tutti impostati per dare pregio al ruolo prevaricante della luce, che accarezza oggetti e persone dando loro volume e fisionomia anche nel movimento. mentre gli autoritratti o i ritratti (un genere congeniale alla capacità di interpretare il carattere delle persone) contengono il pregio di un equilibrio seducente fra la fedeltà al soggetto e la libertà di innestarvi, da parte dell’autore, la propria intelligenza interpretativa. Uno degli ambiti di indagine preferito da Antonio Sgarbossa è proprio il fattore dinamico, relativo all’impostazione della sua pittura. La sua straordinarietà è data soprattutto da un uso del colore che, al primo impatto, dà l’illusione di una tendenza al monocromo, mentre in effetti è” una soluzione pulviscolare di tinte e di nuances, impastate sovente con olio di lino e cera liquido, che avvolgono la composizione in un abbraccio caldo e lieve.
 
Fabrizio Del Bimbo

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